I SORDI E LA PITTURA
Da ricerche condotte in Italia, ma anche all'estero, emerge come la modalità visiva dei sordi rappresenti uno strumento privilegiato di espressione e comunicazione con esiti talvolta altissimi e sorprendenti. La pittura, in particolare, sembra essere in molti casi lo strumento artistico prediletto, attraverso il quale dare voce a sentimenti, emozioni, passioni sublimi ma anche al tormento e alla disperazione di vite difficili, contrassegnate da emarginazione e solitudine. Questa forma di linguaggio non verbale, così come la lingua dei segni, ha permesso nei secoli ai sordi di uscire da quell'isolamento che la natura aveva loro imposto.
Nell'antichità, i sordi non godevano di alcun diritto perché considerati persone con problemi mentali. I Romani ereditarono dai Greci l'amore per la perfezione fisica e ciò li indusse ad uccidere tutti i neonati con problemi.
Ben più fortunata sorte incontrarono i nobili.
Nel I° secolo d.C. C. Plinio nella “Storia Naturale” parla di un certo Quinto Pedio, nipote sordo dell'omonimo console romano. In quanto nobile gli fu concessa la grazia e la possibilità di coltivare il suo estro artistico nella pittura.
Tuttavia, le prime tracce che testimoniano un interessamento per la condizione dei sordi in Italia si trovano nel Medioevo, quando i soggetti con anomalie venivano ricoverati in strutture ospedaliere vicino a conventi ed abbazie che operavano interventi di tipo assistenziale. I monaci scoprirono presto la vocazione per il disegno delle persone sorde e ciò li spinse a farne abili decoratori di manoscritti.
I grandi maestri volevano rappresentare nelle loro opere la “vera” natura umana e si dedicavano allo studio della fisiognomica, del linguaggio del corpo e della comunicazione utilizzata dai sordi.
Nel XV° secolo, Leonardo da Vinci, che si occupò anche di sordità, nel suo Trattato della Pittura proponeva “ il sordomuto come interprete dei movimenti e modello di espressione” e sosteneva che il pittore deve studiare i gesti dei sordomuti “ i quali parlano coi movimenti delle mani, e degli occhi, e ciglia, e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell'animo loro”.
Leonardo raccomandava pertanto i loro gesti a modello della pittura e, per i suoi studi sulla gestualità, si avvalse della collaborazione del figlio del pittore sordo Cristoforo de Predis. Molti sordi entrarono allora a lavorare nelle botteghe di pittori e scultori, per la loro rinomata abilità visiva e manuale. A volte è solo il soprannome a svelare la probabile sordità di questi artisti.
Tra i nomi più celebri si ricordano Goya e Pinturicchio, che entrambi divennero sordi in età adulta.
Pinturicchio (1454-1513) accettò completamente questa sua condizione dipingendo quadri molto luminosi e dettagliatissimi ritenendo che chi è privo di udito possieda una maggiore sensibilità nei confronti delle cose e delle persone.
Goya (1746-1828), invece, rifiutò con tutte le sue forze la sua sordità; ciò influì profondamente sulla sua pittura che assunse connotazioni cupe e talvolta mostruose.
Moltissimi sono oggi i pittori che, sordi dalla nascita, ci fanno di capire come la vera natura delle loro opere sia quella di essere la maniera per loro più diretta per comunicare i flussi dell'anima.
Infine, parlando di pittura e sordità non si può non nominare la lingua dei segni.
Esiste un parallelismo, una parentela molto stretta tra questa espressione artistica e la LIS della quale esiste una definizione molto poetica:
“ Mani che si muovono sicure e spedite nell'aria,
che assumono forme e sembianze,
che sembrano dipingere figure invisibili e
occupare spazi,
visi cangianti, segnati da mille espressioni,
occhi spalancati,
sempre vigili e attenti...”.
La comunicazione gestuale in LIS crea con le mani dipinti nell'aria. La pittura crea immagini su carta, su tela, sui muri. Le mani rappresentano il punto di partenza di questi due linguaggi non verbali. Per entrambi il punto di arrivo è l' emozione.